Un capo ha la facoltà di negare la pausa pranzo a un proprio dipendente, sapere cosa dice la legge a riguardo può essere davvero importante.
Un rapporto di lavoro è fatto di doveri che devono essere rispettati da un dipendente, ma anche di diritti, da cui non è possibile eccepire. Anzi, è importante che siano rispettati se non si vuole che ci sia un’ingiustizia e la possibilità da parte del lavoratore di rivalersi su chi lo ha assunto. Tra gli aspetti che possono essere importanti, anche in un’ottica di miglioramento della performance, c’è la pausa pranzo, che può consentire di riposare dopo diverse ore impiegate a svolgere la propria mansione, per poi riprendere con maggiore lucidità. Inevitabilmente, questa fase può essere utile anche per chiacchierare con i colleghi o con amici e colleghi lontani, magari per telefono.
A volte si verificano però situazioni in cui la persona interessata sostiene di non essersi potuto fermare per mangiare, per questo è bene sapere cosa dice la legge a riguardo, così da capire se possa rivalersi e manifestare di essere stato vittima di un’ingiustizia. In asi simili essere a conoscenza di cosa dicano le norme può essere davvero determinante, in modo tale da avere la sicurezza se ci sia stia comportando correttamenrte o meno.
Sentire la necessità di fermarsi per riposare dopo avere fatto almeno la metà del proprio orario lavorativo è più che normale, nonostante questo esistono imprenditori che a volte arrivano a negare la pausa pranzo ai propri dipendenti. Ma possono farlo? Per chiarire ogni dubbio è bene fare riferimento all’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 66 del 2003, in cui si parla dell’organizzazione dell’orario di lavoro.
Il provvedimento sostiene che, al superamento di una certa soglia di ore lavorative giornaliere, il lavoratore “deve beneficiare di un intervallo per pausa”. Evidentemente, si parla quindi di un vero diritto del lavoratore a usufruire di questa opportunità, da cui non è possibile transigere. L’obiettivo della pausa pranzo, come confermato dal Ministero del Lavoro, è quello di permettere al lavoratore il recupero delle energie psico-fisiche necessarie per continuare l’attività lavorativa in condizioni di sicurezza e benessere. Se lo desidera (c’è chi ritiene il pranzo non così necessario, ma è una scelta personale), ha quindi modo anche di mangiare in quel lasso di tempo.
Nella norma si precisa inoltre come il diritto a fermarsi scatti “qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore”.Pur parlando di diritto alla paura pranzo, non è stata stabilita dalla legge una durata standard, spetta ai contratti collettivi validi per ogni categoria stabilire quanto questa possa essere lunga, ed è a questi che ogni imprenditore dovrebbe conformarsi. Non è possibile comunque decidere di non fermarsi per la pausa e pensare che questa possa essere retribuita con un plus in busta paga, questo potrebbe accadere solo se ci fosse un accordo tra datore e dipendente o in base al CCNL, in genere comunque attraverso i ticket restaurant. Ben diverso è invece quello che dovrebbe accadere per chi lavora al computer, chiamato a fermarsi per circa quindici minuti ogni due ore per permettere agli occhi di riposarsi, queste invece fanno parte dell’orario di lavoro e vengono quindi regolarmente pagate.
È compito inoltre del datore di lavoro organizzare l’orario lavorativo per permettere che le mansioni di ognuno siano portate a termine, facendo in modo anche che ci si possa fermare per la pausa pranzo. Qualora i turni non lo consentano, la responsabilità ricade sull’imprenditore, che non ha garantito questa facoltà.
Basti pensare, ad esempio, a chi ha delle scadenze da rispettare, non si possono imporre orari rigidi di consegna se questi non danno l’opportunità al dipendente di fermarsi. Stessa cosa vale per chi è al servizio in uno sportello, qualora non ci siano colleghi in grado di sostituire in quel lasso di tempo, si deve chiudere almeno per quell’orario. Chi opera invece con orari a ciclo continuo deve optare per una rotazione, indispensabile per garantire a tutti quello che è loro diritto.
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